Passiamo le nostre giornate tra pc, tablet e smartphone, device che hanno cambiato il nostro modo di lavorare e di creare connessioni a livello celebrale.
La nostra soglia di attenzione è ai minimi termini ma ci viene comunque richiesta una reattività immediata.
Se da una parte questo scenario ha delle opportunità importanti, come ad esempio l’abbattimento di barriere geografiche, dall’altra complica non di poco la comunicazione tra gli interlocutori, e con lei l’antico dilemma qualità vs quantità di informazioni da trasmettere.
Immaginando di tracciare un grafico dove la linea orizzontale è la quantità, e quella verticale la qualità, dovremmo riuscire a individuare un punto d’equilibrio tra le due: è lì che risiede la comunicazione efficace.
Nel quotidiano trovare questo punto non è scontato, figuriamoci adesso, con l’aggravante dello schermo che fa da filtro, audience lontane, iper stimolate con webcam talvolta spente e connessioni traballanti!
Valeva prima e vale soprattutto adesso: dire quello che si vorrebbe in modo chiaro, sintetico e impattante è arduo.
Un’altra variabile dell’ipotetico grafico è il tempo.
Ne abbiamo poco noi per dire quello che vorremmo, figuriamoci chi abbiamo di fronte, che forse sarà disposto a dedicarci attenzione solo se saremo capaci di trasferire subito valore e utilità. Il famoso what’s in it for me.
Qualità e quantità di ciò che diciamo, insieme al tempo che impieghiamo per farlo, trasformano la nostra audience da vittima a interlocutore interessato e partecipe.
Farsi seguire nonostante il digitale è una sfida; per essere vinta ha bisogno di strumenti e un set di competenze ad hoc.
Cominciamo con 3 parole chiave:
- Semplicità
- Selezione
- Empatia
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