Per negoziare bene serve giocare la carta della semplicità.
La semplicità è una complessità risolta, Constantin Brâncuși.
Oggi ci sono molte complessità: essere globali e al contempo locali, fare qualità ma in velocità, coniugare smart working e esigenze organizzative.
Potrei proseguire per pagine.
La vera forza innovativa e di cambiamento arriverà da chi saprà giocare in modo dirompente la carta della semplicità, invocata da tutti, realizzata da pochi.
Il Simplicity Index – l’analisi degli esperti Siegel e Gale che identifica i brand che più semplificano la vita degli utenti – evidenzia come il 55 % dei consumatori sia disponibile a spendere di più per vivere un’esperienza d’acquisto semplice.
Un brand ha il 64% di possibilità di essere raccomandato per avere semplificato la vita dei propri clienti, generando fiducia e affidabilità.
Semplice non vuol dire né semplicistico né banale. E la semplicità non invoca la sparizione della complessità, ma chiede che non venga risolta con le complicazioni.
Sempre Alan Siegel nel suo libro Simple individua i tre pilastri che generano semplicità:
- essere empatici;
- saper distillare;
- fare chiarezza.
E qui entrano in campo capacità manageriali, tra cui quelle negoziali e comunicazionali, spesso sottovalutate.
Come ha scritto Barbara Imperatori, professore associato di Organizzazione Aziendale dell’Università Cattolica di Milano, “la socialità che caratterizza la nostra cultura ha in parte rallentato processi più strutturati di codifica e sviluppo di competenze manageriali relazionali, spesso considerate un tratto caratteriale e psicologico naturale. La complessità attuale dei contesti organizzativi sta mettendo in luce le debolezze di questo modello manageriale”.
La sfida è elevare le cosiddette soft skill…
maldestramente tradotte come accessorie, al rango di quelle hard e farne comprendere il valore.
Molto scetticismo nasce dalla difficoltà di rendere oggettivi la capacità manageriale e i comportamenti che ne sono espressione.
La concretezza della capacità tecnica e la supposta intangibilità di quella manageriale nascerebbero proprio dalla misurabilità di conoscenza, processi e risultati, a detta di molti possibile nella prima e non nella seconda, per la sua intrinseca difficoltà.
Se uso male Excel, l’errore è visibile a tutti, correggibile acquisendo la nozione che eviterà di reiterarlo.
Nel caso delle competenze manageriali come posso riconoscere gli errori, miei e altrui, senza processi, modelli e metodi di riferimento?
Ad avere la meglio è quindi l’autoreferenzialità.
L’assenza di strumenti che misurino e attestino il possesso di una capacità comportamentale permette a tutti di dire di disporne, senza che nessuno possa provare il contrario, se non dopo che si siano prodotti danni, anche irreparabili.
Da anni con il mio team lavoriamo su approcci tecnici e strutturati alla managerialità, senza che questo tolga valore all’istinto, al talento e all’esperienza.
Anzi, l’indubbio valore di un metodo è di regalare consapevolezza, dare controllo, far risparmiare tempo, assurgere a linguaggio comune di un team e di un’organizzazione, dando modo alla creatività e all’esperienza di esprimersi al meglio, assicurando continuità nella prestazione.
Arrivare a un metodo è una complessità, ma il metodo diventa poi la chiave per semplificare.
Su che cosa si fonda un metodo negoziale?
Innanzitutto su una premessa, ossia che ogni negoziazione – diversa per contenuto, attori e contesti – è tuttavia uguale perché caratterizzata da uno stesso processo.
Se so in quale fase mi trovo e quali comportamenti agire, gestire il processo e migliorare i risultati sarà più facile.
Come in una partita di tennis: cambiano terreno, avversario e condizioni meteo, ma io so che a seconda della fase di gioco sono tenuta a fare certi movimenti al posto di altri per risultare più efficace. Ed ecco che, con le mie capacità, divento protagonista degli eventi e non sono destinata a subirli.
Chiariamo un punto dirimente: che cosa vuol dire negoziare, ma soprattutto negoziare bene?
Non c’è libro di negoziazione il cui incipit non sia “tutti negoziamo”. Non sono d’accordo. Tutti conduciamo trattative, ma ci sono molti modi per farlo e la negoziazione è uno di questi.
Un negoziatore quando deve spartire risorse, per definizione scarse, non pensa a dire no e neppure sì, peraltro risposte per le quali non ci vogliono particolari capacità.
Si chiede a che condizioni dare agli altri ciò che vogliono, consapevole che i bisogni non si negoziano, ma si negozia sulle richieste avanzate per soddisfarli.
Evita tre rischi:
- fare compromessi, ossia arrivare a una duplice quanto semplicistica rinuncia;
- imporsi, ossia di dire di no, che ipoteca la qualità della relazione e scatena una maggiore conflittualità;
- concedere, ossia di dire di sì tout court, fatto che oltre a minare la credibilità, crea un precedente di arrendevolezza e non garantisce gratitudine, anzi, potrebbe generare avidità. Se siamo noi i primi a non dare valore a ciò che stiamo dando perché dovrebbero farlo gli altri?
Negoziare è l’unica modalità di relazione con cui condurre trattative che dà modo di soddisfare i bisogni di tutti, mantenere relazioni sane e generare più valore di quello che si pensava di spartire.
Per negoziare bene, insieme a istinto, talento e esperienza, ci vuole metodo.
E un metodo, frutto di una complessità risolta, rende in generale più semplice il vivere che è anche uno dei benefici del negoziare.
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